

Politiche del lavoro e permanenza attiva: il “Bonus Giorgetti” tra incentivi e criticità per i lavoratori pubblici
Con la legge di Bilancio 2025, il Governo ha ampliato una misura che si colloca in un punto strategico del sistema delle politiche del lavoro: quella dedicata a chi, pur avendo maturato i requisiti per la pensione anticipata, sceglie di restare in servizio. Il cosiddetto “bonus Giorgetti”, dal nome del ministro dell’Economia che lo ha sostenuto, rappresenta un tassello importante nella logica di flessibilizzazione dell’uscita dal lavoro e di valorizzazione della permanenza attiva. La misura, introdotta inizialmente con la legge di Bilancio 2023 e poi estesa, nasce per rispondere a due esigenze convergenti: da un lato, contenere l’impatto economico del pensionamento anticipato su un sistema previdenziale già sotto pressione; dall’altro, mantenere nel circuito produttivo competenze ed esperienze professionali che rischierebbero di disperdersi.
Il funzionamento dell’incentivo
L’incentivo è rivolto ai lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria (AGO) o a forme sostitutive ed esclusive della medesima. Ne possono usufruire coloro che, entro il 31 dicembre 2025, maturano il diritto alla pensione anticipata o alla pensione anticipata flessibile (Quota 103), ma decidono di posticipare l’uscita dal lavoro.
La misura consente di rinunciare all’accredito dei contributi previdenziali a proprio carico — la cosiddetta quota IVS — che, in luogo di essere versati all’INPS, vengono trattenuti nella busta paga del lavoratore come parte aggiuntiva della retribuzione netta. In pratica, il lavoratore riceve ogni mese l’importo corrispondente ai contributi che avrebbe versato, e tale somma non è soggetta a imposizione fiscale né contributiva. La parte di contribuzione a carico del datore di lavoro continua invece a essere versata regolarmente.
Un’estensione rilevante: anche i dipendenti pubblici
Una delle principali novità del 2025 è l’estensione dell’incentivo ai lavoratori pubblici, che inizialmente erano esclusi o comunque in posizione di incertezza interpretativa. L’INPS, con la circolare n. 102 del 2025, ha chiarito che anche gli iscritti alle forme esclusive dell’AGO, come i dipendenti statali e degli enti locali, possono beneficiare del bonus.
Questo passaggio è di particolare rilievo per la Pubblica Amministrazione, dove il ricambio generazionale procede a rilento e dove il patrimonio di conoscenze e competenze rischia di disperdersi con l’ondata di pensionamenti prevista nei prossimi anni. Consentire a chi è vicino alla pensione di rimanere in servizio, percependo un beneficio economico immediato, può rappresentare una leva utile per gestire in modo più graduale il turnover e per trasferire competenze ai più giovani, se accompagnata da una strategia formativa coerente.
La misura nel contesto delle politiche del lavoro
Dal punto di vista delle politiche del lavoro, il bonus Giorgetti si colloca a metà strada tra un incentivo economico individuale e uno strumento di gestione della forza lavoro. È una misura che non mira a creare nuova occupazione, ma a differire l’uscita di chi è già occupato, alleggerendo temporaneamente il peso sul sistema previdenziale e preservando capacità lavorative esperte.
In un Paese come l’Italia, dove il tasso di occupazione over 60 resta tra i più bassi d’Europa, l’obiettivo è duplice: promuovere l’invecchiamento attivo e ridurre la pressione sui conti pubblici. Tuttavia, la misura non affronta direttamente i nodi strutturali del mercato del lavoro: la qualità dell’occupazione, la produttività, la formazione continua e la reale valorizzazione delle competenze senior.
Per il sindacato, ciò pone una questione cruciale: la permanenza volontaria deve essere una scelta consapevole e vantaggiosa, non una necessità dettata dall’insufficienza del reddito pensionistico. È dunque indispensabile che l’incentivo si accompagni a politiche di sicurezza sociale e contrattazione integrativa capaci di tutelare il potere d’acquisto e di garantire pari dignità tra chi resta e chi esce.
Aspetti procedurali e limiti
L’adesione all’incentivo richiede una comunicazione formale all’INPS, che verifica i requisiti e comunica l’esito sia al lavoratore che al datore di lavoro. Solo dopo l’approvazione, il datore potrà sospendere il versamento della quota contributiva a carico del dipendente e riconoscere la somma corrispondente in busta paga.
Dal punto di vista previdenziale, l’effetto dell’incentivo non altera la retribuzione pensionabile per le quote calcolate con il sistema retributivo, mentre riduce marginalmente il montante contributivo per la parte calcolata con il sistema contributivo. Si tratta dunque di una misura neutrale nel breve periodo, ma che può produrre lievi effetti sull’importo finale della pensione.
Inoltre, la norma precisa che il bonus non costituisce incentivo all’assunzione e non comporta benefici per il datore di lavoro: non rientra quindi tra le agevolazioni che richiedono il DURC o il rispetto dei vincoli del decreto legislativo 150/2015.
Il significato sindacale della misura
Dal punto di vista sindacale, l’estensione del bonus ai lavoratori pubblici rappresenta un riconoscimento importante del principio di parità di trattamento tra settori, ma anche una sfida per la contrattazione collettiva. Occorre infatti evitare che la misura sia usata come strumento di compensazione salariale per chi sceglie di restare in servizio, senza un reale investimento sulla qualità del lavoro e sulle condizioni organizzative.
Il sindacato può giocare un ruolo determinante nel monitoraggio degli effetti sociali e occupazionali della misura, chiedendo garanzie su tre fronti:
- la volontarietà reale dell’adesione, senza pressioni da parte delle amministrazioni o dei datori di lavoro;
- la trasparenza delle procedure e la corretta informazione ai lavoratori prossimi alla pensione;
- l’integrazione dell’incentivo con piani di formazione, mentoring e trasmissione delle competenze, così da rendere la permanenza un’opportunità di crescita per tutto il personale.
Un equilibrio da costruire
Il bonus Giorgetti rappresenta, nel complesso, un tassello della più ampia evoluzione del sistema di welfare occupazionale italiano. Non è una riforma strutturale, ma un segnale: quello di una politica del lavoro che tenta di coniugare la sostenibilità del sistema previdenziale con la libertà di scelta individuale.
Per i lavoratori pubblici, la misura può avere una duplice valenza. Da un lato, riconosce finalmente la possibilità di aderire a un incentivo pensato anche per il settore privato; dall’altro, apre il dibattito sulla necessità di ripensare le carriere nella PA, dove l’età media è in costante crescita e i percorsi di valorizzazione professionale restano spesso bloccati.
Il rischio, in assenza di una visione complessiva, è che l’incentivo si trasformi in una soluzione tampone: un modo per trattenere lavoratori esperti in sistemi organizzativi rigidi, senza affrontare il nodo del ricambio generazionale e della modernizzazione amministrativa.
Conclusione
Le politiche del lavoro del prossimo futuro dovranno saper integrare strumenti come il bonus Giorgetti in un quadro più ampio, dove il diritto alla pensione e il diritto al lavoro non si escludano, ma si bilancino in modo equo. Perché restare al lavoro, dopo una vita di contributi, deve essere una scelta libera, consapevole e dignitosa — non l’unica via per difendere il proprio reddito.
Solo in questo equilibrio, tra flessibilità, sicurezza e partecipazione, potrà realizzarsi una politica del lavoro realmente inclusiva, capace di coniugare sostenibilità finanziaria, tutela dei diritti e valorizzazione delle persone.


